A volte smetti di sognare.
A volte la paura prende il sopravvento e ti annienta, ti fa dimenticare chi sei, da dove vieni, perche' hai intrapreso questo viaggio, chi hai sempre sognato di diventare.
Inizi a convincerti che ormai sia arrivata l'eta' della razionalita', del sacrificio, della vita in cui qualsiasi lavoro vada bene, purche' si faccia qualcosa di serio, che dia stabilita'.
E fanculo se si tratta di un lavoro 9-5 seduto davanti ad una scrivania a fare un lavoro che nulla ha a che vedere con cio' che tu hai sempre sognato.
E fanculo se anche Antonello Venditti in ``Compagno di Scuola`` finisce cantando ``Compagno di scuola, compagno per niente
ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu?``
A volte frequenti le ragazze sbagliate. Sono belle, sono ricche, hanno ottimi lavori e inizi a pensare che forse l'amore non esista, e che se fossi davvero intelligente dovresti fartele andare bene, come il lavoro sicuro che non c'entra niente con te.
A volte ti offrono di diventare cio' che tu hai sempre voluto. Ti mettono la possibilita' davanti al naso, e' li' e devi solo dire di si'.
Ma pensi che alla fine quello sia solo un sogno, e che a 27 anni sia meglio guardarsi in faccia e capire di essere mediocri. Prendere l'aereo, tornare a casa e mollare il tuo sogno. Cercare un lavoro di cui non te ne frega niente, e dimenticare che per due anni hai vissuto la vita che hai desiderato.
Poi invece ti ritrovi davanti all'oceano, dove l'amore con questa terra e' iniziato. Guardi l'orizzonte, guardi dentro di te. Capisci che la tua vita senza il sogno non e' niente, che il sogno e' la parte piu' bella di te, quella che ti rende fiero, che ti fa sentire vivo, che ti fa piangere e ti fa ridere, che ti fa sperare in un amore che verra', e che ti da' il coraggio per dire di si' al destino che continua a bussare alla tua porta.
Arriva un momento nella vita in cui bisogna scegliere. Avere coraggio, e correre verso l'ignoto, o non credere nelle proprie possibilita' e seguire i percorsi altrui.
Ho un sogno alla fine di questo sogno. Percorrere il Cammino di Santiago. E' l'unico viaggio che al momento desideri realmente fare. Quello sara' l'unico mio sogno che potra' essere realizzato seguendo un tracciato, una strada battuta da altri.
Sincerely yours,
Saggioman
domenica 31 luglio 2011
domenica 8 maggio 2011
Il tramonto a Byron Bay
Byron Bay, quante volte avevo sognato di venire qui. Ora mi trovo al tramonto, di fronte all‘oceano, a godere dell’atmosfera fantastica che qui si respira.
Il sole cala alla mia sinistra, dietro alle colline. Io sono seduto sulla mia borsa da viaggio, tra tre ore parte il mio sleeping bus per Sydney. Le onde son basse, e i surfisti pochi. La spiaggia piano piano si svuota.
I pappagalli si alzano in volo ed emettono un cinguettio continuo tipico delle ore del tramonto sulle citta’ della costa.
Dietro di me una ragazza con dei dreadlock rossi, ed un uomo sulla quarantina tipicamente hippie, giocano con le clave. Qualcuno esattamente in questo momento si e’ acceso una canna.
Alla mia destra un ragazzo sulla trentina, probabilmente di origine europea, tiene un uccellino sul braccio e lo passa ai ragazzi attorno a lui increduli.
Sotto ad un albero tipicamente tropicale, che produce un frutto simile all’ananas, un uomo sulla quarantina, grassoccio, con un cappellino, capelli lunghi e barba, si rotola e gioca con un bambino ed una ragazza aborigeni. Il bambino maschio, deve averre circa tre anni, e’ piccolissimo e scurissimo. Sembra una bambolina, tant’e’ vero che l’uomo lo prende e giocando gli morsica I piedi e lo lancia in aria. La ragazzina che apparentemente e’ la compagna dell’uomo, lo bracia e abbraccia continuamente.
Dietro all’uomo, un secchiello per lasciare delle offerte. Infatti, l’uomo, e’ l’artefice di due sculture di sabbia, un delfino ed un drago dalle cui narici esce del fuoco alimentato con delle torce, a pochi metri dal passaggio pedonale.
Mi sposto sulla scogliera. Una barriera di furgoncini Wicked separa la citta’ dalla celebrazione del rito del tramonto. Al di la’ dei furgoncini I ristoranti si apprestano a servire la cena. Al di qua, un gruppo di giovani si scatena al ritmo di tamburi, saxofoni e chitarre. Tutti ballano, tutti ridono. Chi fuma, chi medita sulle rocce. Gambe fanno capolino dal retro dei furgoni aperti.
Il mondo saluta il giorno che se ne va in una danza esoterica.
La luce lentamente cala, ragazzi sdraiati intenti a baciarsi, e la luna che si illumina sempre un po’ di piu’.Il cinguettio dei pappagalli sale fortissimo, l’orizzonte sull’oceano si fa arancione, domani mi svegliero’ a Sydney, avro' le idee piu' chiare sul da farsi, e a fine serata a Manly vedro‘ il sole calare alla mia destra.
Sincerely yours,
venerdì 29 aprile 2011
verso Byron Bay
Lo sapevo. Sapevo che dopo il piattume delle ultime settimane qualcosa si sarebbe mosso in maniera positiva e repentina.
Del resto lo dicevo a Jessica:``prima o poi qualcosa si muovera'``, solo che lo dicevo da due mesi ormai e la fiducia andava calando.
E invece no, chiamata dalla Dante Alighieri (istituto per l'insegnamento della lingua italiana nel CBD di Sydney), e lavoro ottenuto. Dopo nemmeno 24 ore: risultati IELTS academic (il test di inglese necessario per iniziare una carriera accademica in Australia e altri paesi di lingua inglese), voto 7.5 su 9, un ottimo risultato.
Subito dopo, chiamata dalla Southern Cross University: prendi il primo mezzo e raggiungici. L'universita' si trova vicino a Byron Bay, dodici ore di auto da Sydney o un'ora in aereo.
Problema, i miei genitori hanno il volo per l'Italia martedi' sera. Voglio trascorrere con loro gli ultimi giorni che ci rimangono a disosizione.
Seconda circostanza: Sandrino il Mazzuolatore tra un'ora atterrera' a Sydney, e almeno tre giorni con lui prima di partire li voglio trascorrere.
Il lavoro: prima di martedi' in ogni caso non posso partire perche' ho almeno tre lezioni.
La casa: proprio martedi' cambio casa. Io e Sandrino andremo a vivere in un appartamento sul corso, in condivisione con due ragazzi brasiliani. Di conseguenza devo compiere il trasloco dall'appartamento in cui vivo ora.
Cosi', il giorno designato per la partenza per Byron, e' martedi, ore 10.00 di sera.
Di mattina traslochero' e lascero' alcune dritte al Mazzuolatore. Di pomeriggio salutero' i miei genitori, e sara' davvero tosta!
Poi mi dirigero' in citta' con un grosso backpack e andro' ad insegnare alla Dante. Alle 8.00, finita la lezione, prendero' il mio zaino, e sotto le luci dei grattacieli, mi avviero' verso Central Station dove alle 10.00 partira' il night bus per Byron Bay. 12 ore di night bus.
L'ulima volta che sono stato su un night bus mi trovavo in Cambogia, col giovane Fuma (insostituibile compagno di viaggio) e ci spostavamo dalla costa a Siem Riemp (altre 10 ore circa). L'atmosfera del night bus e' fantastica. Letti al posto di sedili, e giovani esaltati in fervida attesa della prossima meta. All'alba ci si sveglia in un posto sempre assai diverso da quello che si e' lasciato, e probabilmente si stara' con le persone che si sono consociute sul bus stesso. E' buio, non si capisce bene chi ci sta attorno, e se si capisce e si tratta di ragazze carine, beh, a quel punto diventa tutto piu' divertente.
Ma questa volta sara' diverso. Saro' da solo su un night bus e andro' all'universita' a presentare finalmente la mia domanda di dottorato. Verro' presentato a molti insegnanti, e discutero' con i miei tre supervisors. The legal protection of Aboriginal Burial sites in NSW, il mio progetto, tra poco prendera' finalmente forma.
Sul night bus pensero' a tutto cio' che e' stato dietro questo progetto: i libri letti, i discorsi fatti, gli incontri con decine di professori e la mia amata Aboriginal Tent Embassy dove Uncle Dootch mi ha insegnato moltissimo.
Ma ovviamente, i miei genitori a quel punto saranno su un aereo in qualche punto del cielo australe, e ovviamente il mio pensiero sara' rivolto anche loro.
Le cose iniziano a prendere la loro giusta direzione, keep on dreamin' guys!
Sincerely yours,
tocca cambia' soprannone, saggioman non mi piace piu' gran che':)
domenica 6 marzo 2011
Bennelong's Beach? no...Collins Beach!
Ieri pomeriggio mi trovavo a Collins Beach, una delle spiagge piu' belle di Manly.
Un angolo di paradiso incantato: vegetazione tropicale, acqua cristallina e calda, rocce rosse e di varie sfumature, cascate, ostriche e pinguini (i rari e piccoli pinguini in pericolo di estinzione della zona).
Ho deciso di andarci con Christina, la mia amica tedesca interessata anche lei al mondo degli Aborigeni.
Ci sediamo e inizio il mio racconto:
``questo luogo, piu' di duecento anni fa, era un luogo sacro aborigeno. Luogo di cerimonie, luogo di assoluta importanza spirituale e culturale. La bellezza della spiaggia ci fa capire perche' gli Aborigeni lo avessero scelto.
Questo luogo, nel 1790 fu anche teatro di un attacco aborigeno al governatore britannico dell'epoca, Phillips.
Il governatore infatti, venuto per ristabilire relazioni amichevoli con quello che poteva essere riconosciuto come il primo diplomatico aborigeno della storia, Bennelong, fu colpito da una lancia Aborigina che lo feri' gravemnte.
Si trattava di un attacco unicamente volto al ferimento del governatore (gli storici avrebbero poi sancito nei secoli successivi) in quanto attraverso quella lancia la comunita' di Bennelong intendeva solo punire secondo il diritto aborigeno l'intrusione contraria alle loro regole in una terra sacra: Collins beach appunto.
Ci troviamo in una terra sacra, che ha segnata l'inizio della storia delle questioni legali sulla terra in Australia, e nessuno lo sa``.
In Australia, nessuno sa niente della storia degli aborigeni, dei primi australiani come molti qui li chiamano. Non si conoscono gli eroi dei primi contatti (Bennelong appunto e' certamente uno di loro).
Come afferma il mio amico Uncle Dootch, qui e' stato commesso un genocidio, la cultura aborigena e' stata spazzata, cancellata dalla storia.
E allora ieri, non potevo che ripensare ancora una volta allo scorrere del tempo secondo gli aborigeni (non lineare), quando una fiumana di persone ha invaso quella spiaggia sacra riempiendola di materassini e reti da beach volley. Proprio la' dove Governor Phillip molto probabilmente venne ferito dalla lancia, e la' dove Bennelong stava in piedi fiero di fronte al suo avversaro ferito.
L'acqua ad un certo punto si e' riempita di turisti e dei loro materassini, uno dei quali non era altro che una donna gonfiabile. L'apoteosi si e' realizzata quando con un piccolo motoscafo un big jim australiano ha fatto il suo ingresso: cappellino, capelli lunghi biondi e fisico da surfista. L'ancora a riva, e tutti da lui per comprare gelati e cappuccini: l'ultima evoluzione dei vu cumpra' delle spiagge italiane.
L'ancora affonda nel fondale marino, proprio dove 221 anni fa, l'ancora dell'imbarcazione del governatore Phillip affondava a sua volta.
A scendere all'epoca era un governatore, a cui andarono incontro aborigeni armati senza sapere che piu' di due secoli dopo, un pronipote di Phillip avrebbe potuto vendere gelati e cappuccini ad uono stuolo di turisti ignavi su quella che era terra di cerimonie e spiriti.
Questa una volta era la spiaggia di Bennelong.
Sincerely yours,
Saggioman
mercoledì 2 marzo 2011
Father and Son...all'Ambasciata Aborigena
Il tempo per gli Aborigeni non e' lineare, ci penso da giorni.
Ricordo quanto mi pesasse da ragazzino, fino a qualche anno fa a dire il vero, andare a lavorare con mio padre in cantiere. Pensavo fosse una cosa terribilmente faticosa e noiosa.
In questi mesi in cui ho avuto l'opportunita' di visitare l'Aboriginal Tent Embassy, ho capito finalmente quanto importante fosse l'aver condiviso con mio padre tutti quei lunghi momenti.
Moltissime cose accadute al Sandon Point infatti avevano un aggancio con qualche episodio del passato che mio padre mi aveva raccontato.
Su tutti, il rapporto con la natura rappresentato da una solida conoscenza delle piante commestibili, ornamentali, medicali o utilizzabili per estrarne sapone o profumi.
Uncle Dootch me ne ha sempre parlato, e io gli rispondevo che mio padre, durante la sua infanzia in Sicilia, conosceva perfettamente l'importanza e l'utilita' delle piante e dell'ambiente.
Sicilia e Aborigeni a confronto...incredibile no?
Camminare scalzi per chilometri, lavarsi nei corsi d'acqua naturali, vivere in baracche o in stalle; tutte cose fatte anche da mio padre nella sua infanzia.
Nei mesi precedenti le lunghe chiacchierate con Uncle Dootch hanno prestato il fianco a molte riflessioni introspettive, tra cui una e' senza dubbio: il mio interesse e la mia forte propensione alla comprensione della cultura Aborigena probabilmente hanno le loro radici nei racconti di mio padre, molti dei quali ebbero luogo proprio in cantiere.
Molti sono stati i flash-back aventi ad oggetto l'esperienza del lavoro con mio padre, soprattutto quando mesi fa ho aiutato Uncle Dootch e Dan a costruire la sand dome, il museo di sabbia e cemento.
Lavorare scalzo, fare l'intonaco con una betoniera senza motore, usare l'acqua del torrente e la sabbia della spiaggia mi portavano incessantemente con la mente ai racconti dell'infanzia di mio padre.
Cosi' lunedi', verso mezzogiorno, io e mio padre decidiamo di partire alla volta della Tent Embassy.
Arrivati in prossimita' dell'Ambasciata, mi dimostra immediatamente che il mio lungo accostare la sua cultura ai discorsi fatti da Uncle Dootch era fondato.
Ha subito riconosciuto piante e verdure locali, parenti di quelle selvatiche che nascono spontaneamente in Sicilia. Improvvisamente ne ha strappata una e se l'e' mangiata; ``e' commestibile, questa la mangiavo sempre da ragazzino``.
La macchia fatta di boscaglia si dirada, inizia il prato e a pochi metri da noi si apre la fantastica spiaggia di fronte alla quale si trova l'Ambasciata. Le bandiere aborigene sventolano fiere, mentre la loro fierezza contrasta con l'assoluta poverta' e sporcizia delle baracche che compongono l'Ambasciata (tutto infatti e' costituito da materiali riciclati, recuperati da discariche).
Troviamo sette persone attorno a un fuoco. Oggi non ci sono ne' Uncle Dootch ne' Patrick. In compenso ci sono i miei amici Mary e Dan.
Gli altri ospiti sono viaggiatori spinti dal desiderio di fare volontariato e il nipote di Uncle Dootch scampato per miracolo al ciclone in Queensland.
La situazione sarebbe tale da mettere qualsiasi genitore a disagio. Ma non mio padre. Non un giudizio, non una critica, non una risatina sulla sporcizia del posto o delle persone. Non una battuta sul look di Dan: capelli lunghissimi, barba con dreadlock, un bastoncino infilato orizzontalmente sotto al naso e abiti da figlio dei fiori.
Per prima cosa, ho deciso di portarlo a visitare il museo fatto di sacchi di sabbia e cemento. Vi abbiamo trascorso molto tempo, perche', come immaginavo mentre nei mesi scorsi vi lavoravo, le semplici e antiquate tecniche di realizzazione lo hanno assolutamente incuriosito.
Dopodiche' siamo tornati attorno al fuoco e abbiamo bevuto un ''buon'' caffe' scaldato sul fuoco offertoci dalla gentilissima Mary.
Un po' goffamente mio padre incomincia a parlare con Dan, Mary e Thomas (il nipote di Uncle Dootch), e ovviamente il mio intervento da interprete si e' reso necessario. Ho avuto la conferma del fatto che mio padre e' davvero una persona curiosissima, senza grossi pregiudizi ed aperta al prossimo. Ha capito l'essenza dell'esperienza, ha trasmesso rispetto ai ragazzi presenti alla Embassy, ha colto quello che doveva cogliere. Ha saputo creare un'affinita' spirituale con quelle persone senza condividerne la lingua che era assolutamente commovente.
Sicuramente l'accostamento piu' bello e' stato quello tra gli animali totemici aborigeni e la cultura folkloristica siciliana/italiana. Ha saputo cogliere immediatamente l'importanza del legame simbiotico con la natura e i suoi riflessi nella vita quotidiana e nella filosofia aborigena.
Ho capito che molto di quello che oggi mi rende una persona curiosa e rispettosa delle differenze culturali, proviene da mio padre, una persona non estremamente dotta, ma sicuramente dotata di una grande empatia e sete di sapere.
E' stata una giornata incredibile, di quelle da ricordare, di quelle che hanno fatto da ponte tra il mio passato ed il mio futuro.
Il tempo per gli Aborigeni non e' lineare e gli episodi sono interconnettibili.
Mi piace pensare che nello stesso tempo in cui ci trovavamo assieme nel piccolo museo aborigeno e spiegavo a mio padre come avevo lavorato alla sua realizzazione, scalzo, senza elettricita' e senza acqua corrente, in un altro tempo, qualcosa stava accadendo. Mi piace pensare che contemporaneamente ci trovavamo in cantiere in Italia e mentre io gli passavo i mattoni, lui mi raccontava della sua infanzia, di quando andava a scuola scalzo, o andava a prendere l'acqua al pozzo, del rapporto con la natura e delle tradizioni piu' antiche. In quel momento non capivo che i mattoni che gli passavo, erano i mattoni che avrebbero costruito le fondamenta della mia cultura e della mia personalita'.
Sincerely yours,
Saggioman
lunedì 21 febbraio 2011
il grande walkabout della vita

Gli Aborigeni partono per i loro walkabouts e percorrono le loro song-lines attraversando i luohi sacri per comprendere chi sono e da dove vengono. Cio' in molte comunita' segna il passaggio alla maggiore eta', o, a coloro i quali sono gia' stati iniziati, permette di raggiungere chiarezza interiore.
In questi giorni mi domando spessissimo: che ne e' stato del vecchio me in tutto questo turbine di esperienze ed emozioni?
Sono dentro un mondo a parte, fatto di sole, mare, delfini, canguri...case talmente grandi da ospitare piste di atterraggio per deltaplani, notti in tenda alla Tent Embassy, walkabout con il mio amico aborigeno, bagni nelle cascate, compleanni in infradito e ghirlanda di fiorni in spiaggia, bagni al tramonto, beach volley all'alba.
Ho deciso che tentero' il dottorato a Byron Bay, la citta' hippy d'Australia, dove tutto avra' un altro sapore e le avventure saranno totalmente diverse.
Nel frattempo ho iniziato ad insegnare italiano. Lo studente piu' in gamba e' il ragazzo del martedi' sera, con il quale finisco sempre la lezione con una frase d'amore che lui recita immediatamente al telefeono alla ragazza (di origine italiana).
Tre giorni alla settimana seguo un corso di business che durera' fino alla probabile data di inizio del dottorato. Mi sento come alle superiori, a volte le lezioni si fanno incredibilmente noiose, ma poi, tanto attesa, e' la pausa pranzo in spiaggia con tanto di bagno in mare a salvarci.
A volte pero' le conversazioni si fanno interessantissime. Infatti la multietnicita' della classe permette di confrontarci sui temi piu' disparati.
Studio moltissimi libri di cultura aborigena e di storia australiana. Continuo a frequentare la Tent Embassy e sto aiutando un'associazione aborigena nella progettazione e sviluppo di attivita' turistico-culturali.
In tutto questo, ormai dieci giorni fa, i miei genitori e due amici ci hanno raggiunto.
L'immagine emblematica di questi loro primi giorni qui e' quella di mia madre mentre cammina al tramonto a Shelly Beach con una birra in mano e cappellino in testa verso me, mia sorella e i nostri amici. Un barbeque al tramonto come moltissimi altri in questa lunga estate australiana, ma quell'immagine per un attimo mi ha fatto brillare qualcosa, un'emozione che ormai avevo dimenticato.
Otto mesi lontano dai miei genitori. Ho visitato l'Asia e ho vissuto in casa da solo in Australia. Mi domandavo da un po' in cosa fossi cambiato. Ma questa creatura che cresce e che cambia con te e in te, e' difficile da interpretare senza l'opinione di chi non ti vede da parecchio.
L'arrivo dei miei, e la loro reazioni ai miei comportamenti mi hanno chiarito le idee.
Ho perso molte inibizioni che avevo prima, sono piu' libero mentalmente, scherzo e rido di piu'.
Mia madre dice che sono ``strano``, con preoccupazione, a mio parere perche' il figlio che conosceva era il tranquillo ragazzo posato, fidanzato da anni, prevedibile e misurato negli atteggiamenti.
La verita' e' che ora come ora non saprei piu' come tornare indietro: come vivere in casa con i miei, come avere una fidanzata fissa con la mentalita' che avevo prima, come stare seduto sul divano a guardare la televisione, come prendere la macchina per uscire la sera, come stare fermo in un posto senza differenze culturali, come sentire sempre la gente lamentarsi, aspettare il weekend per fare qualcosa di divertente, non conoscere mai gente nuova...
Tutto il mio vivere quotidiano e' cambiato, e il riflesso in me sta nell'esasperazione dell'indipendenza e nella leggerezza delle decisioni.
Ancora non capisco bene la situazione in cui mi sono cacciato, la lontanza dalla famiglia e dagli amici, i soldi spesi nei viaggi, gli anni che nel frattempo trascorrono...pero' e' il mio walkabout nella grande song-line chiamata vita, e sicuramente un domani potro' dire di avere vissuto in un periodo a cavallo tra sogno e realta' in cui ogni giorno qualsiasi cosa poteva accadere.
Sincerely yours,
Saggioman
lunedì 29 novembre 2010
schiavi moderni

Thirroul, domenica 28 novembre.
Dootch non c'e', e' al compleanno di sua zia a Botany Bay, un'importante area aborigena vicino a Sydney.
Siamo solo io e Patrick, un hippy (si direbbe) di origine giapponese che vive alla Tent Embassy con Dootch.
Stiamo nella baracca, fuori piove, e mentre lui cerca un ritmo con un bongo improvvisato io cerco di guardare un film.
Dopo qualche ora Dootch ancora non e' arrivato, cosi' sotto una lieve pioggia, ci avviamo verso il centro di Thirroul col suo pick-up per bere un caffe'.
Sulla strada passiamo davanti al sito sacro sul quale la Stockland (una ditta di costruzioni) sta edificando palazzine residenziali di lusso.
Da qui nasce il pretesto per una discussione che durera' ore.
``Patrick, come siamo arrivati a questo punto? Come e' possibile che ormai tutto e' valutato sotto profili economici, e che non si riesca a tutelare questo luogo sacro?``
``E' tutta colpa di Macchiavelli mio caro``, replica il mio amico.
``Il fine giustifica i mezzi, e la politica e' ormai corrotta fino al midollo. E' tutta colpa di quell` Italian guy, un genio sicuramente, ma allo stesso tempo l'artefice dei valori su cui si basa la politica attuale.
I politici promettono cose impossibili, l'importante e' illudere e farsi votare, ottenere e mantere il potere.
Hanno fatto credere a tutti che la ricchezza fosse a portata di mano, ma oggi e' evidente che dall'illusione siamo passati alla delusione``.
Arriviamo in centro, posteggiamo e ci dirigiamo verso una caffetteria.
Ci sediamo all'esterno del bar, dove patrick puo' rollarsi e fumarsi tranquillamente le sue sigarette.
Quest'uomo di ormai quarant'anni, vestito con abiti giapponesi, che vive in una baracca dove non c'e' acqua corrente, sembra lontano anni luce da quella che fino ad ora e' stata la mia vita.
Eppure emergono aspetti di un passato, che lo avvicinano molto a me.
Patrick infatti ha lavorato quindici anni in finanza, in diverse banche a Londra e New York, salvo poi accorgersi di essere solo una pedina dello scacchiere del consumismo e riconoscere l'inutilita' delle sue giornate, tutte identiche, spese a maneggiare ``pezzi di carta colorati a cui la societa' ha deciso di dare un valore immenso, superiore a quello della sacralita' delle persone``.
``Potevo continuare con quella vita, fare soldi, per poi morire senza aver davvero vissuto. Tutto questo per accomulare denaro, pezzi di carta, al prezzo di dimenticare chi davvero ero, i miei sogni, la mia natura``.
``Ma come siamo arrivati fino a questo punto?``. Domando io, rendendomi conto che accanto a noi la gente, come se fossimo alieni, non ci toglieva gli occhi di dosso.
``Questa societa' ha deciso che tutto ha un valore economico, e tutto (e qui torniamo a Macchiavelli) puo' essere subordinato al fine: accomulare ricchezza.
Se questa societa' ha commercializzato Dio...non possiamo stupirci del fatto che le singole vite umane vengano messe in secondo piano da parte dei potenti.
Pensa alle popolazioni piu' povere del mondo: perche' non vengono aiutate in maniera efficacie e definitiva?
Pensa ai lavoratori delle Nazioni piu' ricche, non sono nient'altro che schiavi moderni costretti a lavorare quaranta ore a settimana per rincorrere la speranza di diventare ricchi, o per paura di perdere cio' che gia' hanno. Dimenticandosi chi sono e il vero significato della vita, affanndandosi a pagare mutui e prestiti, contenti per le due ore d'aria quotidiane, e il sabato e la domenica di riposo.
Il riposo del consumatore, costretti a comprarsi barlumi di felicita' spendendo gran parte dei soldi che guadagnano in schiavitu'. Non c'e' piu' spazio per la fantasia, per la creativita'.
La paura di perdere qualcosa che gia' abbiamo...
Tutto ha un prezzo, le nostre paure hanno un prezzo, e allora ecco le nostre vite piene di paure.
La paura di morire viene monetizzata attraverso le assicurazioni, attraverso la medicina, attraverso i farmaci.
La paura di perdere un lavoro viene monetizzata attraverso l'accettazione delle condizioni di lavoro attuali.
La paura della solitudine, attraverso la televisione, attraverso costose uscite inutili con persone che nemmeno ci piacciono, al fine di assomigliare ai personaggi che vediamo in televisione.
E mille altre paure, che trovano motore propulsivo proprio in quella religione, elemento portante dei valori che permettono a questa societa' di mantenersi intatta e di rendere piu' ricchi i governanti, e piu' alienati i governati.
La gente attorno ci guarda con maggiore sospetto, Patrick, accortosi della situazione, si altera visibilmente e sbatte la tazza di caffe' americano sul tavolo. Ce ne andiamo.
Tutto questo mi ha ricordato quando a Phnom Pen parlai con un giovane avvocato della situazione politica cambogiana: tono della voce molto basso, occhiate sospettose da parte dei proprietari del bar, e, da parte del mio interlocutore occhiate preoccupate attorno, che poi lo spinsero ad abbandonare il locale per andare in un posto sicuro.
Cio' mi ha fatto riflettere sul concetto di ``accomodation`` di un individuo rispetto alla societa': parlare fuori dalle righe, dire cose diverse, trattare di argomenti scottanti, ovunque ci si trovi, in Italia, in Cambogia o in Australia e' sempre un'operazione rischiosa e sgradita, per quanto le nostre televisioni ci facciano credere quotidianamente di vivere in un mondo democratico e moderno.
Abbiamo sconfitto tanti tabu', ma ancora non quello di dire liberamente quello che crediamo, forse perche', come dice il mio amico Patrick, siamo veramente schiavi moderni.
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